Vicino vicino

Le foto di cibo hanno spesso a che fare con macro e close up e i due termini sono spesso utilizzati indifferentemente. In realtà hanno due significati diversi.

Il close up è la fotografia ravvicinata, definizione che vuol dire poco di per sè, ma il cui senso si può facilmente intuire. La fotografia macro, invece, è quel tipo di immagine in cui il soggetto viene riprodotto almeno a grandezza naturale, quindi in scala 1:1 o di più.

Nonostante quindi le macchine fotografiche compatte abbiano la cosiddetta funzione “macro” (il simbolo con il fiorellino!), è ben difficile che lo siano veramente.

Quella funzione infatti consente di fare foto ravvicinate, ma non di avere un rapporto di riproduzione di 1 a 1, per il quale occorrono, di solito, delle lenti apposite. Quando invece la scala è molto forte, e quindi l’immagine appare a grandezza molto maggiore del reale si può arrivare a parlare di microfotografia.

Detto questo possiamo parlare tranquillamente di macro, l’importante è comunque intendersi.

La fotografia ravvicinata pone dei problemi particolari (altrimenti che ne parlerei a fare?).

Il primo problema, il più evidente, è quello della ristrettissima profondità di campo . Avrete tutti notato che in una immagine di solito ci sono zone nitide e zone confuse. La profondità di campo indica proprio la zona della foto in cui il soggetto è accettabilmente nitido. Al di là di quella zona i dettagli del soggetto si perdono. In una foto scattata a distanza “normale” la zona a fuoco dipende dalla apertura del diaframma, dall’ingrandimento del soggetto e dalla distanza fra macchina e soggetto. Quindi, se intendo avere una buona nitidezza dell’immagine, se il soggetto è ad una cera distanza, mi basta chiudere il diaframma.

Al contrario, se cerco di avere una ampia zona sfocata sullo sfondo per isolare il soggetto, mi basta aprire il diaframma della macchina fotografica. Queste regole, per quanto valide, lo sono molto meno nelle foto a distanza ravvicinata. Più ci si avvicina al soggetto, più lo si ingrandisce, meno ampia è la zona di nitidezza dell’immagine (la profondità di campo), anche se chiudo il diaframma il più possibile. Ci sono dei soggetti che, addirittura è impossibile avere interamente a fuoco. Contro questa situazione non c’è molto da fare, se non imparare a sfruttare creativamente la ristretta profondità di campo.

In ogni modo, avvicinandosi al soggetto, chiudere il diaframma diventa necessario proprio al fine di evitare che la profondità di campo sia così stretta da rendere incomprensibile la forma del soggetto stesso.

foto 2Ad esempio, è abbastanza complicato comprendere la forma della pasta della foto 2.

Allora, si potrebbe dire, il problema si risolve subito: basta chiudere il diaframma di quanto la mia lente lo consente e accontentarmi di ciò che ne esce. Invece no. Non basta. C’è un altro problema, che si chiama “diffrazione”. In pratica, senza entrare in dettagli troppo tecnici, la luce che entra dal piccolissimo foro del diaframma, viene in parte deviata dalle lamelle stesse del diaframma e questo provoca una gran brutta perdita di nitidezza dell’immagine. L’abilità sta quindi nel trovare quella giusta via di mezzo fra apertura del diaframma e profondità di campo tale per cui il soggetto risulti il più nitido possibile.

A questo proposito è utile sapere che la massima nitidezza di un obiettivo è di solito a due diaframmi più chiusi della massima apertura. Questa però non è una regola ferrea, ma solo un’indicazione di massima.

Viceversa, ci sono casi in cui è utile aprire il diaframma. La fotografia di un soggetto contro uno sfondo troppo dettagliato, rischia di essere estremamente confusa. Il modo migliore per renderlo evidente è quello di sfocare lo sfondo, il che si ottiene, appunto, aprendo il diaframma. La possibilità di controllare la foto immediatamente, poi, consente di capire se abbiamo ottenuto il risultato desiderato o se invece occorre scattare ancora con un diaframma diverso.

Altro problema che si presenta con le foto ravvicinate è quello del fuoco. Spesso, infatti, avvicinandosi molto al soggetto, la messa a fuoco automatica non riesce a colpire il punto giusto, e anzi, molto spesso non riconosce il fronte dal retro del soggetto. Quindi è bene fare molta attenzione, decidere accuratamente dove il soggetto deve essere messo a fuoco e poi scattare escludendo l’autofocus.

Il fuoco manuale in questi casi è davvero indispensabile, se non si vuole buttare la maggior parte delle immagini.

In alcuni casi è addirittura meglio decidere l’ingrandimento desiderato e poi allontanarsi o avvicinarsi al soggetto fino a che non lo si vede a fuoco.

La minima profondità di campo di certe immagini fa si che sia utilissimo scattare con un cavalletto. In effetti, chiudendo il diaframma i tempi si allungano e la profondità di campo che alle volte è solo di pochi millimetri, fa sì che ogni minimo movimento si traduca in una foto mossa. Quindi il cavalletto non è affatto un optional: magari anche dei più economici, ma è davvero utilissimo, per non dire indispensabile. In secondo luogo, meglio non premere il tasto dello scatto, perchè anche questo potrebbe far muovere la fotocamera (soprattutto se il cavalletto è di quelli economici!). Se non avete un cavo o un telecomando per lo scatto a distanza, basta inserire l’autoscatto.

La fotografia macro o il close up offrono un modo diverso per guardare le cose, consentono di tirare fuori dettagli, astrattismi, texture che anche nel campo del cibo possono raccontare qualcosa di nuovo o insolito. Nonostante le difficoltà, quindi merita sempre fare il tentativo di vedere il piatto che abbiamo creato in modo diverso e creativo.


Per approfondire:

Il close-up

Michael Freeman

Understanding Close-Up Photography. Creative Close Encounters with Or Without a Macro Lens

Bryan Peterson

Crative Close-Ups Digital Photography Tips and Techniques

Harold Davis

Luisa Puccini

Blogger Sito web: www.vicinoelontano.blogspot.com

Flickr Flickr: http://www.flickr.com/photos/luisapuccini

Indice completo del corso di fotografia in cucina.

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